Licenziamenti nelle piccole imprese, illegittimo il tetto ai risarcimenti

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22 Luglio 2025, 12:05, di Barbara Weisz

Il limite di sei mensilità al risarcimento per i licenziamenti illegittimi nelle aziende fino a 15 dipendenti è anticostituzionale. Lo ha stabilito la Corte Costituzionale, secondo cui questa norma non consente la necessaria personalizzazione, adeguatezza e congruità del risarcimento del danno sofferto dal lavoratore illegittimamente licenziato.

Si tratta di un pronunciamento che interviene su un punto al centro di uno dei quattro referendum sul lavoro dello scorso giugno ma che poi, come gli altri, non ha raggiunto il quorum. La sentenza delle Consulta (118/2025) boccia il limite al risarcimento imposto dal legislatore, che ha previsto un forbice troppo esigua fra il minimo (tre mensilità) e il massimo (sei mensilità).

Una misura risarcitoria uniforme, indipendente dalle peculiarità e dalla diversità delle vicende dei licenziamenti intimati dal datore di lavoro, si traduce in un’indebita omologazione di situazioni che possono essere – e sono, nell’esperienza concreta – diverse, in violazione, quindi, del principio di eguaglianza.

Le regole sui licenziamenti nelle piccole imprese

La norma censurata è contenuta nell’articolo 9 del dlgs 23/2015, che fa parte del Jobs Act. In base a questa disposizione, quando il datore di lavoro non raggiunga i requisiti dimensionali dei 16 dipendenti, non si applica il reintegro nel posto di lavoro e l’ammontare del risarcimento è dimezzato rispetto a quello previsto nelle imprese di maggiori dimensioni e non può in ogni caso superare il limite di sei mensilità.

Il tetto di sei mensilità, lo ricordiamo, è anche previsto dalla legge che disciplina i licenziamenti individuali, in particolare dall‘articolo 8 della legge 604/1966, che il referendum proponeva di modificare.

La sentenza della Corte Costituzionale

A quest’ultima legge la sentenza non fa riferimento, ma definisce comunque incostituzionale la norma del Jobs Act che la ripropone. In particolare, la sentenza definisce illegittima «l’imposizione di un tetto, stabilito in sei mensilità di riferimento per il calcolo del trattamento di fine rapporto e insuperabile anche in presenza di licenziamenti viziati dalle più gravi forme di illegittimità, che comprime eccessivamente l’ammontare dell’indennità».

L’indennità «è stretta in un divario così esiguo da connotarla al pari di una liquidazione legale forfetizzata e standardizzata. Ma una siffatta liquidazione è stata già ritenuta da questa Corte inidonea a rispecchiare la specificità del caso concreto e quindi a costituire un ristoro del pregiudizio sofferto dal lavoratore, adeguato a garantirne la dignità, nel rispetto del principio di eguaglianza».

La legge può stabilire che il risarcimento per licenziamento illegittimo sia limitato, ma non sacrificato neppure in nome dell’esigenza di prevedibilità e di contenimento dei costi, al cospetto di un licenziamento illegittimo che l’ordinamento, anche nel peculiare contesto delle piccole realtà organizzative, qualifica comunque come illecito.

La Corte auspica un intervento del legislatore che si basi sul principio secondo cui il criterio del numero dei dipendenti non può costituire l’esclusivo indice rivelatore della forza economica del datore di lavoro e quindi della sostenibilità dei costi connessi ai licenziamenti illegittimi. Secondo la sentenza bisognerebbe tener conto anche di altri fattori, come il fatturato o il totale di bilancio.